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lunedì, dicembre 01, 2003

«Nonno, che é successo.»
Leandro fa segno con la mano di aspettare, si alza lentamente, va in cucina e ne torna con un taccuino. Scrive qualcosa frettolosamente. Strappa il foglietto. Passa la nota a Gervaso.

IMMAGINE DEL REFERTO A disponibile per la visione all'indirizzo: http://www.geocities.com/tulo69/referto.jpg

Gervy non sa se esultare o piangere. Il povero vecchio é definitivamente impazzito. Peccato, poverino. Però... e si infila il foglietto in tasca, come prova, annuendo accondiscendente.
Gli angeli non esistono (forse) e se anche esistessero (forse) di certo non scoppiano. Certo quella parete bruciacchiata... Leandro fissa i resti degli innumerevoli oggettini che gli anni raccolgono. Gervaso gli chiede se vuole andare al pronto soccorso a farsi dare il colpo di grazia. La testa grassoccia dondola a destra e a sinistra, lo sguardo ancora sul pavimento. Si china e raccoglie mezza statuetta.
«Nonno, vado a prendere quello che resta della spesa. Butti tu i cocci?»
Su e giù. Si.
Gervaso esce imprecando sottovoce mentre calpesta delle uova ancora miracolosamente sane.
Leandro prende una busta e comincia a raccogliere i cocci.
Li getta quasi tutti. L'ultimo che gli capita in mano é un'ovetto di ceramica comprato durante il viaggio di nozze, pare ancora in un pezzo. No, a guardarlo bene é ricoperto di crepe sottilissime, un soffio e va in pezzi. Leandro sospira. Coccola un pò il ricordo, rovescia la mano, l'uovo cade sugli altri relitti. La busta viene sollevata e il suo karma la porta all'eterno secchio. L'ovetto rotola fuori. Non ha più alcuna crepa.

Pomodori.
Certo che é partito, non mi dirai che credi agli angeli. Puttini con i riccioletti, uomini incrociati con gallinacci, vecchi barbuti con tuniche-accappatoi. No, non me lo immagino.
Tonno.
Però, quell'impronta. L'avete vista anche voi...
Lo so, lo so, siete dei lettori, mai un pò di collaborazione.
Spaghetti... ex spaghetti, a giudicare dal rumore di maracas.
Le crepe... forse una piccola scossa di terremoto. O magari la vecchia porchetta é caduta, ha picchiato la testa ( cosa che spiegherebbe l'allucinazione celestiale ) e, avendo una struttura cranica degna di uno gnu, ha fatto tremare la parete.
Bottiglie di birra, intatte ma potenziali molotov al puro malto gassato.
Una porta si apre. Una porta rossa.
«Hi, can I help you, my friend?»
Gervaso alza gli occhi. Ghilbert gli sorride grigio dalla porta. Gli occhi azzurri sono puntati fissamente sulla sua spalla. Per un attimo Gervy teme di averci abbarbicato un tentacolo verde che si svolge lentamente. Gira la testa istintivamente. No, nessun tentacolo, almeno ora.
«No... no thanks, I... come si dice, oh my stuff has droppen down... »
L'inglese, dopo almeno quattro anni di vita in Italia non sa ancora una parola in italiano. E Gervaso, a forza di leandroglossie, ha disimparato ogni lingua straniera. Ghilbert raccoglie un barattolo di fagioli, lo contempla come se fosse una lattina pop-campbell-art e lo porge al nostro raspollatore. L'arte finisce in una busta bianca riciclabile per essere consumata in seguito. L'inglese rientra in casa e chiude la porta.
Come maggiatico si é autorifornito di un tubetto di maionese, pocanzi terminata.
La sparizione della maionese rimarrà per Gervaso un mistero irrisolto.

Piano terra, torniamo un pò indietro. Bejavé si stà recando dal portiere per un incontro-scontro sull'installazione di due prese elettriche aggiuntive a beneficio dei Gherzen e del mondo. Sente un rumore di slavina su per le scale. Un'attimo dopo un bolide rosso sibilante gli sfreccia vicino alla testa e si schianta sul piastrellato. Bej é inondato di sangue al basilico. Si getta a terra temendo altri attentati con tappo a vite. Una porta si apre di scatto. Ne esce la moglie del portiere in veste da camera. Si porta le mani alla bocca, spalanca gli occhi e rientra nel suo nido. Attraverso la porta si sente la donna spiegare concitata che c'é un ragazzo morto nelle scale, forse quello di quel gruppo, i Gharzen, Gherzen, lo sapeva che sarebbe finito male, sempre a fare quel rumore, donne, alcool droga e merendine al cioccolato. Un trapestio. Bejavé si alza e, temendo ripercussioni, se ne va senza voltarsi. Il portiere e la moglie si mettono a discutere se chiamare oppure no la polizia. L'uomo ha qualche piantina non regolamentare nel giardinetto e paventa coinvolgimenti non solo emotivi. Passa qualche tempo. Gervaso si affaccia dalle scale, vede la situazione e, da buon cittadino, raccatta uno straccio e dell'acqua e scende. Di buona lena si mette a pulire il pomodoro coagulato. Raccoglie i cocci. Con l'ultimo si taglia il dito medio e impreca. Qualche goccia di sangue cade sul pavimento pulito. Gervy rientra in casa di pessimo umore e mediamente ferito. Il portiere si decide a chiamare la polizia ed esce a controllare la situazione. Si trova davanti la scena di un crimine efferato. Tutto é estremamente pulito, il pavimento lavato con cura, nessun cadavere, nessuna traccia. Un delitto perfetto, sicuramente mafioso. Quel povero ragazzo ormai... acido, una cava abbandonata o chissà cos'altro. No, aspetta, ci sono delle gocce di sangue, ci penserà la polizia. Le sirene si sentono già.

Bej torna a casa trafelato. Vive da solo per cui può permettersi il lusso di buttare i panni al ragù per terra. Si fa una doccia, si cambia, esce di nuovo. Lascia la porta aperta tanto non ha nulla da rubare, tranne la batteria che però é in saletta prove. Sente avvicinarsi delle sirene, sgommate, silenzio tragico e rispettoso. Gira l'angolo e sale su di un autobus ricoperto di cacate di uccelli. E' evidentemente diretto al centro, dove ormai hanno cominciato ad aprire degli avio-bar per stormi in transito.

La città é bella di sera. La poca luce sembra coprire pietosa le sue cicatrici e le rughe di anni di incurie municipali. Diventa una cittadina giovane, un'allegria un pò decadente ma vitale, arrogante, scanzonata, sguajata. Un popolo di menestrelli, canzonieri e cantastorie, che i problemi li lasciano agli altri, anche i propri. Coccolati, di Papa in Papa, atei ironici e attaccabrighe, palestrati e topi di biblioteca spalla a spalla, artisti e discotecari a commentare assieme o quella tedesca che tette, o quella francese che culo, o quella coreana mica male anche lei. Caffé cappuccino ciambelle pizza kebab, odore di cibo veloce e poco igienico, fonte inesauribile di diarreiche supernove e di energie a tempo. Bejavé é una macchia tra le macchie. Né più lenta né più veloce. Forse più nera ( regola non scritta tra i prog-metal-elettro-gothic é di avere un guardaroba inutizzabile al buio perché di oscurità intessuto ) ma praticamente invisibile nello stormo a due zampe. Ma noi abbiamo le nostre carte. Ogni personaggio di una storia é come se avesse montata una cimice, un dispositivo di tracciamento, che ci permette di ritrovarlo ovunque, in qualsiasi momento, anche se é al bagno (dov'é appunto Gervaso in questo momento). Certo, non é il massimo per la tutela della privacy ma hanno tutti compilato una delibera, ve lo assicuro. Allora puntiamo cinque metri a destra del Pantheon, appena vicino a quella comitiva di punkz. Eccolo lì il nostro Gherzen. Ha in mano uno spicchio di pizza fumante ( altra regola non scritta tra i prog-metal-elettro-gothic é di non mangiare mai in presenza altrui fino a far sorgere il dubbio che tu ti nutra di sangue umano ma, cazzo, la fame é fame ). Bejavé sta puntando a un negozietto dietro il buco-con-il-monumento-intorno. Ha milleuno stracci ma ogni tanto spunta qualcosa di bello e, incredibilmente, a poco. Bej si infila nel magazzino, ormai anch'esso Energie-zzato e Coatt-ato per stare al passo, e spulcia la mercanzia. Ne esce tenendo trionfante un top lamé nero aderente che, indossato in strade poco illuminate, lo segnalerebbe come viados ma sul palco fa scena. Ripassa davanti ai punkz che lo guardano comprensivi e paterni. Uno addirittura gli sputa cortesemente per salutarlo. Bej ricambia il saluto con cortesia accresciuta dalla sinusite e si ripulisce alla bell'e meglio. Si avvia verso casa.
...
...
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Riesce a prendere la quarta metro e quasi ci rimette una natica alla chiusura della porta.

continua...
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