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giovedì, luglio 15, 2004

ho hackerato la mia Canon Eos 300d

magnifico!

ecco il link per il firmware:

http://www.bahneman.com/liem/photos/tricks/digital-rebel-tricks.html
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mercoledì, luglio 07, 2004

Questo l'ha fatto un mio collega: Sujon

http://www.ibeimages.sujon.net

la "skin" di iBe è farina del suo sacco!
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martedì, luglio 06, 2004

updatato con commenti
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lunedì, luglio 05, 2004

Oggi una signora mi ha chiesto una sigaretta.
Magra, vestito azzurbianco, macchie di inchiostro blu sulle mani.
Dato sigaretta.
Dato accendino.
Tenuto sua rivista (vendita case)
Lei acceso sigaretta, mani tremano.
Ripreso accendino, ridata rivista.
Lei, frullandosi la mano vicino alla testa come un'uccellino prigioniero, voce quasi rabbiosa: Accendi gli special del cervello.
Andata via.

Lo consiglio a tutti: Accendete gli special del cervello, qualunque cosa essi siano!
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martedì, giugno 22, 2004

Ho creato queste immagini per iBe


immagini di iBe su yahoo

link a geocities su iBe

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mercoledì, maggio 19, 2004

linkino a un desktop phone molto bello: http://ibe.bravobrian.it così magari Google lo passa :)

lo rilinko: http://ibe.bravobrian.it
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lunedì, maggio 10, 2004

VIVIAMO IN UNA MEDIARCHIA!!!!!!
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venerdì, febbraio 20, 2004

Buongiorno!

cioè, è giorno da qualche parte nel mondo.
forse qui.

La danza dei maestri Wu Li

La fisica quantistica dice che siamo noi a creare il mondo
come lo vogliamo vedere.

Buongiorno!
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venerdì, febbraio 06, 2004


AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
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Hulk quasi rotto il cazzo...
Hulk spacca....
Hulk ha compleanno....
Hulk spacca torta....
Hulk rotto il cazzo...
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lunedì, gennaio 26, 2004

Leggo i diari di Keith Haring....
( Oscar Mondadori )


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Piazza del popolo, di nuovo
Valeriana (toppato bustina) da Canova,
Di nuovo.
Mi ritrovo troppo facilmente, vorrei perdermi.
Dovrei essere qui con qualcuno di importante.
Minigioia, Passione o Serenità?
Di nuovo troppi pezzi troppo piccoli troppo taglienti per evitarli tutti.
Le ferite sono inevitabili, ma spero guaribili.
Incontro occhi e sguardi, vi cerco un presente, il tempo che perdo invece a scrivere queste cazzate.
Punkz, che fai scrivi col computer?
Sospetto istintivo, protezione immediata, me ne devo liberare.
Ghettizzazione del prossimo...
Tipi sul (coso a pedali con quattro ruote) uno scende.
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Cercandoti cercandomi

Costante incostanza.
Un'orologio molle.
Un'altalena arrugginita
Fissa, a metà discesa.
Un giardino dei segreti
Di sogni sbocciati mai
Mai
Raccolti, o, forse,
colti troppo presto.
Una strada tortuosa
Che risfocia in se stessa
In un campo di more
Risfocia alla sorgente.
Un metallo duttile
Oro argento platino
piombo, forse, un'armatura
Di gelatina.
Si torna, rinasce, Elettra
Cercandoti io torno a
Cercarmi.

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venerdì, dicembre 12, 2003

Dovrei accendere il cervello oggi.
forse.
comunque.
?

E' venerdì sera e Flash ha gli spiriti, come tutti i venerdì.

Minigioia.

Hope tomorrow will be better than today and worse than the day-after-tomorrow.
Gödel, Escher, Bach e una mozzarella in carrozza.

Cabala, inondazioni zen insensate.
Forse dovrei slegare il cavallo delle emozioni.
Ho paura di essere disarcionato di nuovo, forse.

Minigioia.

Eh, Eh, Eh!

Sembro un pazzo a chi non mi conosce, chi mi conosce ne è certo.

Andate avanti senza di me, per qualche ora, io mi fermo sdraiato su di un prato, a dare un nome alle nuvole.
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martedì, dicembre 02, 2003


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lunedì, dicembre 01, 2003

«Nonno, che é successo.»
Leandro fa segno con la mano di aspettare, si alza lentamente, va in cucina e ne torna con un taccuino. Scrive qualcosa frettolosamente. Strappa il foglietto. Passa la nota a Gervaso.

IMMAGINE DEL REFERTO A disponibile per la visione all'indirizzo: http://www.geocities.com/tulo69/referto.jpg

Gervy non sa se esultare o piangere. Il povero vecchio é definitivamente impazzito. Peccato, poverino. Però... e si infila il foglietto in tasca, come prova, annuendo accondiscendente.
Gli angeli non esistono (forse) e se anche esistessero (forse) di certo non scoppiano. Certo quella parete bruciacchiata... Leandro fissa i resti degli innumerevoli oggettini che gli anni raccolgono. Gervaso gli chiede se vuole andare al pronto soccorso a farsi dare il colpo di grazia. La testa grassoccia dondola a destra e a sinistra, lo sguardo ancora sul pavimento. Si china e raccoglie mezza statuetta.
«Nonno, vado a prendere quello che resta della spesa. Butti tu i cocci?»
Su e giù. Si.
Gervaso esce imprecando sottovoce mentre calpesta delle uova ancora miracolosamente sane.
Leandro prende una busta e comincia a raccogliere i cocci.
Li getta quasi tutti. L'ultimo che gli capita in mano é un'ovetto di ceramica comprato durante il viaggio di nozze, pare ancora in un pezzo. No, a guardarlo bene é ricoperto di crepe sottilissime, un soffio e va in pezzi. Leandro sospira. Coccola un pò il ricordo, rovescia la mano, l'uovo cade sugli altri relitti. La busta viene sollevata e il suo karma la porta all'eterno secchio. L'ovetto rotola fuori. Non ha più alcuna crepa.

Pomodori.
Certo che é partito, non mi dirai che credi agli angeli. Puttini con i riccioletti, uomini incrociati con gallinacci, vecchi barbuti con tuniche-accappatoi. No, non me lo immagino.
Tonno.
Però, quell'impronta. L'avete vista anche voi...
Lo so, lo so, siete dei lettori, mai un pò di collaborazione.
Spaghetti... ex spaghetti, a giudicare dal rumore di maracas.
Le crepe... forse una piccola scossa di terremoto. O magari la vecchia porchetta é caduta, ha picchiato la testa ( cosa che spiegherebbe l'allucinazione celestiale ) e, avendo una struttura cranica degna di uno gnu, ha fatto tremare la parete.
Bottiglie di birra, intatte ma potenziali molotov al puro malto gassato.
Una porta si apre. Una porta rossa.
«Hi, can I help you, my friend?»
Gervaso alza gli occhi. Ghilbert gli sorride grigio dalla porta. Gli occhi azzurri sono puntati fissamente sulla sua spalla. Per un attimo Gervy teme di averci abbarbicato un tentacolo verde che si svolge lentamente. Gira la testa istintivamente. No, nessun tentacolo, almeno ora.
«No... no thanks, I... come si dice, oh my stuff has droppen down... »
L'inglese, dopo almeno quattro anni di vita in Italia non sa ancora una parola in italiano. E Gervaso, a forza di leandroglossie, ha disimparato ogni lingua straniera. Ghilbert raccoglie un barattolo di fagioli, lo contempla come se fosse una lattina pop-campbell-art e lo porge al nostro raspollatore. L'arte finisce in una busta bianca riciclabile per essere consumata in seguito. L'inglese rientra in casa e chiude la porta.
Come maggiatico si é autorifornito di un tubetto di maionese, pocanzi terminata.
La sparizione della maionese rimarrà per Gervaso un mistero irrisolto.

Piano terra, torniamo un pò indietro. Bejavé si stà recando dal portiere per un incontro-scontro sull'installazione di due prese elettriche aggiuntive a beneficio dei Gherzen e del mondo. Sente un rumore di slavina su per le scale. Un'attimo dopo un bolide rosso sibilante gli sfreccia vicino alla testa e si schianta sul piastrellato. Bej é inondato di sangue al basilico. Si getta a terra temendo altri attentati con tappo a vite. Una porta si apre di scatto. Ne esce la moglie del portiere in veste da camera. Si porta le mani alla bocca, spalanca gli occhi e rientra nel suo nido. Attraverso la porta si sente la donna spiegare concitata che c'é un ragazzo morto nelle scale, forse quello di quel gruppo, i Gharzen, Gherzen, lo sapeva che sarebbe finito male, sempre a fare quel rumore, donne, alcool droga e merendine al cioccolato. Un trapestio. Bejavé si alza e, temendo ripercussioni, se ne va senza voltarsi. Il portiere e la moglie si mettono a discutere se chiamare oppure no la polizia. L'uomo ha qualche piantina non regolamentare nel giardinetto e paventa coinvolgimenti non solo emotivi. Passa qualche tempo. Gervaso si affaccia dalle scale, vede la situazione e, da buon cittadino, raccatta uno straccio e dell'acqua e scende. Di buona lena si mette a pulire il pomodoro coagulato. Raccoglie i cocci. Con l'ultimo si taglia il dito medio e impreca. Qualche goccia di sangue cade sul pavimento pulito. Gervy rientra in casa di pessimo umore e mediamente ferito. Il portiere si decide a chiamare la polizia ed esce a controllare la situazione. Si trova davanti la scena di un crimine efferato. Tutto é estremamente pulito, il pavimento lavato con cura, nessun cadavere, nessuna traccia. Un delitto perfetto, sicuramente mafioso. Quel povero ragazzo ormai... acido, una cava abbandonata o chissà cos'altro. No, aspetta, ci sono delle gocce di sangue, ci penserà la polizia. Le sirene si sentono già.

Bej torna a casa trafelato. Vive da solo per cui può permettersi il lusso di buttare i panni al ragù per terra. Si fa una doccia, si cambia, esce di nuovo. Lascia la porta aperta tanto non ha nulla da rubare, tranne la batteria che però é in saletta prove. Sente avvicinarsi delle sirene, sgommate, silenzio tragico e rispettoso. Gira l'angolo e sale su di un autobus ricoperto di cacate di uccelli. E' evidentemente diretto al centro, dove ormai hanno cominciato ad aprire degli avio-bar per stormi in transito.

La città é bella di sera. La poca luce sembra coprire pietosa le sue cicatrici e le rughe di anni di incurie municipali. Diventa una cittadina giovane, un'allegria un pò decadente ma vitale, arrogante, scanzonata, sguajata. Un popolo di menestrelli, canzonieri e cantastorie, che i problemi li lasciano agli altri, anche i propri. Coccolati, di Papa in Papa, atei ironici e attaccabrighe, palestrati e topi di biblioteca spalla a spalla, artisti e discotecari a commentare assieme o quella tedesca che tette, o quella francese che culo, o quella coreana mica male anche lei. Caffé cappuccino ciambelle pizza kebab, odore di cibo veloce e poco igienico, fonte inesauribile di diarreiche supernove e di energie a tempo. Bejavé é una macchia tra le macchie. Né più lenta né più veloce. Forse più nera ( regola non scritta tra i prog-metal-elettro-gothic é di avere un guardaroba inutizzabile al buio perché di oscurità intessuto ) ma praticamente invisibile nello stormo a due zampe. Ma noi abbiamo le nostre carte. Ogni personaggio di una storia é come se avesse montata una cimice, un dispositivo di tracciamento, che ci permette di ritrovarlo ovunque, in qualsiasi momento, anche se é al bagno (dov'é appunto Gervaso in questo momento). Certo, non é il massimo per la tutela della privacy ma hanno tutti compilato una delibera, ve lo assicuro. Allora puntiamo cinque metri a destra del Pantheon, appena vicino a quella comitiva di punkz. Eccolo lì il nostro Gherzen. Ha in mano uno spicchio di pizza fumante ( altra regola non scritta tra i prog-metal-elettro-gothic é di non mangiare mai in presenza altrui fino a far sorgere il dubbio che tu ti nutra di sangue umano ma, cazzo, la fame é fame ). Bejavé sta puntando a un negozietto dietro il buco-con-il-monumento-intorno. Ha milleuno stracci ma ogni tanto spunta qualcosa di bello e, incredibilmente, a poco. Bej si infila nel magazzino, ormai anch'esso Energie-zzato e Coatt-ato per stare al passo, e spulcia la mercanzia. Ne esce tenendo trionfante un top lamé nero aderente che, indossato in strade poco illuminate, lo segnalerebbe come viados ma sul palco fa scena. Ripassa davanti ai punkz che lo guardano comprensivi e paterni. Uno addirittura gli sputa cortesemente per salutarlo. Bej ricambia il saluto con cortesia accresciuta dalla sinusite e si ripulisce alla bell'e meglio. Si avvia verso casa.
...
...
...
Riesce a prendere la quarta metro e quasi ci rimette una natica alla chiusura della porta.

continua...
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giovedì, novembre 27, 2003

L'arcangelo Babele

«Je vorrei a cerveza...»
«Si nonno, ne è rimasta una in frigo.»
Dannato vecchiaccio... spero che ti ci strangoli con quella birra.

Vi presento la mia dannazione: il nonno. Si chiama Leandro Pernici, vedovo Pollini. Ha settantadue anni ma ne dimostra sessanta. Bassino, pelato, grassoccio, stentato sorriso sdentato, la prostata bizzosa. Sono due anni che cerco di farlo passare per "incapace di intendere e di volere" ma niente da fare. Il nonno, contrariamente alle apparenze, ha tutte le rotelle a posto. A volere vuole, come avrete notato prima ha chiesto una birra. A intendere intende, infatti ora il vegliardo sta allegramente trotterellando verso il frigorifero, con la ferma intenzione di scolarsi l'ultima goccia di fresco in questa torrida giornata di Agosto. Il problema vero è INTENDERLO. Nonno Leandro infatti parla una mistura di idiomi da atterrire un linguista. Spagnolo, inglese, francese, italiano, russo, tedesco, greco, urdu, cinese, bantù, azteco sumero assirobabilonese latino mongolo neanderthaliano e chi più ne ha più ne metta. Più i relativi dialetti. Più gli slang.
Merda...
E non si è mai mosso da casa, ne ha mai studiato nulla di più di un giornale sportivo. Figuratevi, non ha neppure la terza media, il capoccione. Un mistero. Non parla una lingua, non usa altra struttura grammaticale che l'italiano. Sono le parole che... insomma ogni frase è un collage di parlate, idiomi, linguaggi, dialetti fuori da ogni comprensione umana.
Tutto è cominciato sette anni fa. Il nonnino andava a prendersi le sigarette al bar dell'angolo. Camion lanciato agli ottanta, frenata irrilevante, il signor Leandro Pernici in orbita, con tutte monetine intorno come satelliti, un delizioso prillo a mezz'aria, devastante impatto con il cemento di un muro, silenzio. Fine del nonno? No, fine del nipote. Dopo un braccio rotto e dodici ore di incoscienza il ciccioso fagotto si alza e fa:
«¿Where estos?»
Fine.

No, non della storia, fine della pace mentale del povero nipotino neolaureato, il simpatico Gervaso Pernici ( non bastava il nome come disgrazia ), il sottoscritto.
All'inizio i medici hanno cercato di capire. Tomografieassialicomputerizzate, radiologie, esami, analisi, test psichiatrici. Il nonno è stato bucherellato, rivoltato come un calzino, fotografato dentro e fuori. Dopo due settimane di test cominciò a sognare enormi macchie di inchiostro che cercavano di mangiarlo. Dopo un mese entrai nello studio del primario. Gli chiesi cosa avesse il mio avo. Il dottore mi appoggiò la testa alla spalla e pianse.
Dimisero il nonno.

Due giorni dopo, con il braccio ancora fasciato, l'anziana porchetta umana entrò dal salumiere con diecimila lire in mano. Si avvicinò al bancone e disse giovialmente:
«Sgrothloc two etti au perna, please.»
Il negoziante lo guardò come normalmente guardava la bresaola, poi domandò:
«Che vole?»
«Sgrothloc two etti au perna, please!»
A parte che sentirsi dire "sgrothloc" da qualcuno non è piacevole (a proposito, credo che sia Neanderthaliano), ma sentirsi presi così per i fondelli può facilmente spiegare la seguente risposta del salumiere, ovvero:
«Ma vada aff...»
A quel punto mio nonno si cavò d'impaccio tirando fuori un taccuino e scrivendovi sopra "Vorrei due etti di prosciutto, per favore", passandolo poi all'omone con le diecimila incluse.
Intascato il prosciutto mentre il salumiere si mormora intensamente "sgrothloc", il nonno rotola fischiettando in creolo verso casa.
E anche questo è un problema: se il decrepito suino non scrivesse in perfetto italiano non sarebbe, a tutti gli effetti, autosufficiente. Semplicemente nessuno lo capirebbe.
Dopo un paio di settimane di affamamento glottocausato scatterebbe l'ergastolo in ospizio.
Ma no! Lui scrive, lui comunica, lui è in contatto con il mondo, è un villeggiante autorizzato del villaggio globale! Niente da fare allora.
Uno sgabuzzino pieno di taccuini e matite e stop, fine. La casa sembra una cartoleria ma è tutto normale...
Sento DRIIIN.
Il campanello, spero. O un altro verso del vecchiaccio. No, decisamente il campanello. Aspettatemi qui, vado ad aprire...
...
...
...
...
...
Rieccomi a voi. E' la mia ragazza, ve la presento.
«Piacere, mi chiamo Simona»
...
...
...
«Gervy, perchè non si presentano? Sono tutti così maleducati i tuoi amici?»
«No, amore, è che sono dei lettori, possono solo guardare, non possono interagire.»
«Ah, sono dei guardoni.»
«Più o meno...»
Simy mia è una completa idiota ma ha un corpo mozzafiato. Quanto a lei mi ama confusamente perchè le faccio dei regali.

Ma adesso spezzo una lancia o due in mio favore. Vedo da come leggete che parteggiate per il povero vecchio indifeso, reputandomi un cinico giovanotto anche un tantino patetico...
Ma questo é soltanto perché lo scrittorucolo che si compiace di mettere due lettere di seguito e le chiama "racconto", questo scribacchino degli stivali che vi sta narrando la mia storia, con una ipocrita mancanza di imparzialità parteggia anche lui per la lardosa mummia glottodeviata. E così gioca con le parole per cucirmi la meschinità addosso. Ma come, vi lamentate che i giornalisti sono parziali e poi leggete questa roba! Propongo uno sciopero di lettura. Quando leggerete la parola "FINE" smetterete di leggere... allora "FINE".

Siete dei krumiri...
Lo sapevo che non potevo contare su di voi.
Eppure sono un ragazzo delizioso...
«Gerf!»
E' il mio nome, uno dei tanti ormai, in qualche strana lingua.
«Si nonno?»
«C'è there aliquod?»
«Si nonno, c'è Simy mia!»
Dallo stipite esce un cartoncino giallo con scritto in stampatello: "OFFRIGLI/LE QUALCOSA DA BERE".
Quelli gialli sono per dentro casa, quelli verdi per la spesa, rossi per la cena fuori, e ancora un'altra ventina di categorie... Il nonno si è organizzato così, si è preparato tutte le frasi più comuni per ogni situazione. Però è ingegnoso l'insaccato.
«Nonno, è finito tutto, l'ultima birra l'hai bevuta tu.»
Altro giallo: "GERVASO, POTRESTI ANDARE A COMPRARE ALTRO/A/I/E ... I SOLDI SONO AL SOLITO POSTO".
Al posto dei puntini sento una sequela di consonanti squillanti, con qualcosa di asiatico, che dovrebbero indicare "birra" in qualche paese.
«Va bene nonnino. Vieni puffina.»

«Bacio!»
«Mi vergogno, Gervy, con i tuoi amici che ci guardano.»
«D'accordo, un momento di intimità per favore. Andate dal nonno, visto che lo trovate tanto simpatico.»

Va bene, si va dal nonno. Ma la casa l'abbiamo vista, ora entriamo nella sua testa, fate attenzione, si scivola: "Fa caldo oggi ventilatore rotto birra finita tra poco torna Gervaso e Simona bella ragazza ma mi sembra un pò... vabbè sono giovani si devono divertire anche io quando ero della loro età... poi certo mi sono sistemato messo su famiglia casa certo quell'estate a Rimini a vent'anni mi sono proprio divertito che fine avrà fatto Scamotti quello era proprio un mezzo pazzo quando si è messo a correre nudo dietro alla francesina ahahah è li che ti ho incontrata la prima volta, Lina mia, eri mezza brilla, e io l'altro mezzo ci siamo incontrati di nuovo cinque anni dopo un anno ancora e pum sull'altare mi hai proprio incastrato e poi mi è cascata la fede e non si trovava più ed era finita sotto il sottanone del prete e tu nella foga glielo hai alzato tutto è diventato rosso come un pomodoro stasera cosa faccio per cena? qualcosa di leggero tanto Gervy si sarà come al solito preso quanti euro? quaranta quanto valgono? benedette lire ma bisogna adeguarsi stasera Gervaso la invita fuori a cena col gruzzoletto beata gioventù lo facevo anche io solo che al tempo mi prendevo duecento lire... che birbante che ero e mio papà che mi correva appresso con la cinghia ma poi non aveva coraggio a usarla devo fare un'altro buco alla cinta mi stringe mangio troppo ma in fondo... stasera danno quel film, com'è il titolo quello con il tipo con la faccia da schiaffi ho sentito che è un bel film e se prendessi una pizza qui all'angolo meglio due alla faccia della fame una volta la dovevi fare per forza e gratis adesso la fanno a pagamento dai dietologi che strani tempi ma a mio nonno parevano strani i miei mi diceva mi diceva? memoria matta mi verrà in mente dopo allora pizza margherita e una funghi che mi vanno i funghi ma sono quelli liofiqualcosa uno di questi giorni li vado a fare in quel boschetto che conosco certi chiodini a proposito c'è da riattaccare il quadro in soggiorno che botta quando mi è caduto in testa e che risate che ci siamo fatti io e Gervaso lui di più caro ragazzo sempre allegro cerca sempre di capire quello che dico e deve essere bello complicato eppure penso normale è questa boccaccia ma da dove le tiro fuori tutte quelle strane parole mai sentite tranne qualcuna in tedesco come si chiamava quel tipo Spritzemberg Sfrizemberg sempre ubriaco come quando è caduto dal pontile e poi il capitano ci ha messi puniti tutti e due ma poi gli americani ci hanno messi puniti tutti e hanno fatto bene specie a quel pazzo coi baffetti ma da giovani ci sembrava sempre di fare la cosa giusta ah ecco cosa diceva mio nonno: voi di adesso mica mi sembrate tanto giusti... e aveva ragione! anche un supplì non ci starebbe male hanno suonato alla porta CHI E'?"

«Who est?»
«Sono io nonno!»
Leandro trotterella verso la porta. Noi passiamoci attraverso, poi saltiamo sui capelli bruni (e che cominciano a diradarsi) di Gervaso, e ci lanciamo nella vecchia tromba delle scale. Una bella caduta di tre piani, poi rallentiamo. La vedete quella porta rossa? Pitturata di fresco, con una maniglia a palla, dall'aspetto inglese...? No? Eccola laggiù... appartiene davvero a un'inglese, all'anagrafe Bruno Ghirbetti, al mondo Ghilbert Brown. Lo troviamo nel suo divano di pelle scura, vicino al finto camino con il veliero sopra. Si intravedono, visto che ci da le spalle, nell'ordine:
La cima di una testa biondo fieno, i capelli tirati all'indietro come per un esperimento in una galleria del vento.
Un'avambraccio in una veste da camera di seta.
Una mano magra che stringe un bicchiere con dentro del liquido ambrato, illuminato morbidamente dalle finte fiamme.
Volute di fumo denso e aromatico, dell'ottimo tabacco da pipa stagionato al whisky.
Un tavolino old-english con un vassoio argentato, dei biscotti, una teiera, una tazza di ceramica fumante.
Una vetusta radio che trasmette musica da camera.
Delle vecchie pantofole comode, grigie.
Il liquore viene sollevato, si ode il rumore di un lento sorbire. La musica scende d'intensità, poi tace. Il ghiaccio tintinna nel bicchiere ormai vuoto quando la mano riappare. Dalla poltrona proviene un rutto cavernoso. Quando la musica riparte sembra affacciarsi con timidezza alla soglia di Eolo. Per quasi dieci secondi dalla figura seduta proviene una sinfonia eruttatoria che persino Karl Orff avrebbe trovato poderosa.
Poi una serie di peti trillanti. La poltrona sembra sospirare rassegnata. Squilla un telefono, un campanello vecchio stile. Una mano si allunga sulla sinistra mentre il proprietario snocciola una sequela di bestemmie da far inorridire un'orco. La cornetta anni quaranta viene sollevata verso il punto dove dovrebbe trovarsi la testa.
«Allò! Ghilbert Brown.»
Una vocetta femminile esagitata.
«Ancora tu, troia? Non rompermi il cazzo. Le frustate le hai chieste tu, ti aspettavi che non rimanessero i segni?»
La vocetta continua la cantilena. La cornetta viene riabbassata lentamente, click, silenzio.
...
...
Una mano si allunga e raccoglie delicatamente un biscottino al burro.

Va bene, andiamo. O volete un thé?
Avete fame? Il signor Leandro sta per ordinare la pizza. Seguiamo il filo del telefono fino alla Golosia, la migliore pizza che ci sia (anche a portar via).

«Jamir, rispondi tu! Sono le otto di venerdì, potrebbe essere Pernici. Tu sei l'unico che ci capisca qualcosa.»
Jamir si sbatte le mani infarinate sul grembiule, fissa il telefono con terrore, sospira, risponde.
«Golosia, la miglior pizza che ci sia... desidera?»
Sandra si volta a guardare. Jamir, normalmente di un bel color caffellatte, sbianca terribilmente. Si guarda intorno, fissa il vuoto, aggrotta la fronte.
«Allora, il supplì e la margherita li ho capiti. Ma non credo che lei mi abbia chiesto anche un'arrosto di otaria, per cui, la prego, ripeta l'ultima che non l'ho proprio afferrata...»
Sandra sghignazza sfarinando mozzarella. Jamir scrive qualcosa su un foglietto.
«Funghi? Fischi se ci ho azzeccato.»
Dal telefono viene un fischio acuto. Jamir riprende colore. Scrive un'altra cosa e passa il foglio a Sandra, saluta e riattacca.
«Ma non gli avevi dato il tuo numero di cellulare così ordinava con un messaggio?»
«Peggio!»
«Ma scrive bene, in italiano! Che è successo.»
«Ha le dita grassocce, spinge più tasti insieme e ha quella cosa, il T9 mi pare che si chiami, che si inventa le parole. Vuoi leggere che mi é arrivato? L'ho tenuto.»
«Leggimelo tu.»
«Allora, eccolo... VOLTA UNA MARITA CON DOTTO MENISCO, UN AMO YETI E UNA BATTAGLIA DI BLITZ, GARZE TONTE.»
«Sembra qualcosa tra una dichiarazione d'amore e una minaccia. Che voleva dire?»
«Vorrei una margherita con doppia mozzarella, un supplì e una bottiglia di birra, grazie tante. Non ci vede, ha le mani grassocce e la sindrome da tecnologia. Con il telefonino potrebbe scrivere per sbaglio un'incantesimo sumero ed evocare un demone. Non voglio averlo sulla coscienza. Ci ho rinunciato.»
Dalla porta arriva uno scampanellio. L'anta si apre da sola, entra un brambettio di traffico serale, poi si chiude con uno scatto. Passi piccoli e precipitosi. Da dietro il bancone spunta una manina giallina e rugosa con cinque euro ciancicati. La ragazza al banco, Irene, parla con il nulla. Il nulla, con dolce vocetta asiatica senile, le risponde "il solito". Un cartone di margherita, napoli e funghi tagliati a pezzi piccolissimi viene protesa verso la mano che molla i quattrini e agguanta le cibarie. Altri passi rapidissimi, porta aperta, porta chiusa, silenzio.
«Era la signora Huan Hin, vero?»
«Si.»
«Glieli hai tagliati piccoli, si?»
«Si, era quasi a dadini. Ma tu l'hai mai vista?»
«Ci ho provato una volta ma lei, non so come, era già uscita. Poi non é venuta per una settimana e da allora non l'ho più fatto. Se non fosse per i soldi penserei a un'allucinazione.»
Scampanellio. Entra Gervaso.
«Pronto Pernici...» strilla Sandra e molla le pizze fumanti a Irene. Aggiunta di supplì e birra, inscatolamento preventivo, rapida colluttazione economica e ce ne andiamo aggrappati al cappotto di Gervaso.

Ecco la strada, ve la presento. Non é una brutta strada, per essere in periferia. Non è luminosissima, ma i suoi lampioni ce li ha. Non ha aiuole, ma gli alberelli piantati nei loro girelli di cemento ce la mettono tutta a rallegrare l'ambiente. E hanno coraggio da vendere a rizzarsi così dignitosi quando ogni mattina sono tempestati da pisciolii canini di ogni portata idrica, dallo sputacchio volpino all'idrante alanico. Ci sono negozietti, alcuni aperti fino a sera. Hanno persino un barbiere cantore con ancora l'insegna a spirale. No, non male come strada, tranquilla. Soprattutto se non si hanno pregiudizi razziali. Il nostro Jamir e la vecchia coreana fantasma non sono gli unici stranieri sulla via, né i più pittoreschi. C'é Ivor, il fortissimo rumeno che una volta ha spostato da solo una macchina dalle strisce pedonali per permettere a un vecchietto sulla sedia a rotelle di passare. Se lo incontraste vi spaventereste, con quella sua brutta cicatrice che gli attraversa la faccia, ma ha il cuore d'oro. Bevucchia solo un pò. Invece Janet, la portoricana, la rivedreste di sicuro molto volentieri. Eccola laggiù, sotto quel portico. Non vi fate ingannare dai vestiti, non fa quel lavoro. E' un'ottimo avvocato. E sono sei anni che é fedele a Marco, il suo amore.
Gervaso la vede e si irrigidisce. Ci ha provato una volta e lei gli ha risposto picche. Non tradirebbe mai il suo uomo, tranne che per Rupert Everett e, fortuna per Marco, Rupert passa raramente per questa via, e solo per andare dal barbiere. Marco e Janet si sono conosciuti in una maniera molto particolare. Una di quelle storie comuni con qualcosa di speciale, romantica e crudele al punto giusto. Quel giorno d'inverno Marco era con i suoi amici nazi, teste rasate e qualche svastica cimelio, poi... ma sto divagando, forse ve la racconterò. Torniamo alla strada. Gervaso l'ha attraversata e non si é ancora accorto di noi aggrappati al suo cappotto. Passiamo rasoterra e intravediamo una luce nelle finestre della cantina. Lasciamo la presa e andiamo a vedere.

Cinque globi di pelo sordidamente illuminati da una lampadina stentata. Saltellano attorno a degli strani strumenti neri. Attraverso il vetro crepato arriva un rombo sordo intervallato da gnaulii acutissimi. Uno dei globi ad un tratto rotea una clava nera lucida come uno scarafaggio. Un'altro sembra cadere a terra in epilessi emettendo urla strazianti. Si intravede un essere roseo e glabro incastonato in una struttura metallica vibrante e dall'aria pericolosa. Le pareti della stanza sono rivestite da un materiale biancastro che forma una struttura ad alveare, come un nido alieno. Non ci sono porte in vista. Sul pavimento sporco corrono fili di ogni dimensione, inframmentati da scatole lucide zigrinate. Il suono sale a frequenze inumane, poi cessa di colpo. I cinque globi si immobilizzano, silenzio, silenzio, poi uno si accende una sigaretta e altri due si dividono una coca-cola. Avete assistito alle prove dei Gherzen, gruppo non ancora emergente ma quasi di prog-metal-elettro-gothic. Bravi, tranne uno dei chitarristi che é una zappa ma fa scena sul palco. Sono, nell'ordine, Lucius, voce e qualche volta (quando funziona) violino elettrico, Gezuz, chitarra solista mani di velluto, Xander, chitarra ritmica la zappa ma di grande presenza scenica di cui sopra, Persephus, unica ragazza al basso fascino da femme fatale ma un naso da facocero a rovinare l'atmosfera, Odin, all'organo elettrico (a sentire le sue storie ante-prova quello elettrico é l'organo che usa di meno) e infine Bejawé, percussioni e ripercussioni (sordo all'orecchio destro ma il sinistro funziona benissimo). La coca-cola fa il giro. Poi Xander tira fuori una sigaretta non regolamentare ma di ottima fattura e anche quella fa il giro. Parlottano.
Lucius, voce profonda: «Dai, oggi é andata bene. Se continuiamo così per Febbraio ce la facciamo a fare un demo. ( dicasi demo un nastro o cd con poche canzoni ma sofferte )»
Odin, qualche consonante blesa: « Si, sicuro dai. Però vi ricordo che per metà dicembre non ci sono che vado a Cuba. Ho conosciuto due sorelle...»
Gezuz, voce squillante: «Si, Mano Destra e Mano Sinistra. Adesso ho capito com'é che le dita ti volano sui tasti. Tutto allenamento metacarpale.»
Persephus, voce suadente e un pò neurotica: risatina con mano davanti alla bocca.
Xander, accigliato: silenzio.
Bejavé, voce roca, timbro medio: secondo me dovremmo prima rivedere un pò le parti tecniche del basso e della ritmica. Se le confrontiamo con quelle di altri gruppi underground ma comunque validi come, cito, gli Argonathos e i Polvere Nera, ne risultiamo a un livello certamente superiore in sonorità e pienezza ma inferiore qualitativamente. E comunque, Xander, stavolta ti hanno dato ortica, fatti rimborsare.»
Xander: «A proposito, Bej, hai parlato con il portiere per quelle prese in più? Se mettiamo un'altra spina alla ciabatta saltiamo in aria noi, loro e un paio di passanti.»
Bej(avé): «Si, venerdì, e dobbiamo sgomberare per un giorno. Niente prove venerdì.»
Persephus si sdraia a terra come una gatta. Ogni tanto tira una corda del basso. Quando fa così vuole dire che é stanca. Rispettosamente ci allontaniamo. Un passo per ogni nota di basso.

«... gh, gn... gah!»
Strangottamento. Bicchiere d'acqua, presto, bevuta convulsa, tossetta liberatoria. Nonno Leandro stava per lasciarci trucidato da un fungo kamikaze. E' solo in casa, Gervaso é uscito con Simy e si prevede una serata di confusa passione. In tivi c'é Jim Carrey che vive una vita davanti alle telecamere e non lo sa. Un pò come un turista a Piazza di Spagna, ma con più effetti speciali. A Leandro il film non dispiace, soprattutto perché é allegrotto grazie all'intervento di una procace bionda doppio malto. E' una serata tranquilla, rilassante, del tutto inaddatta all'entrata in scena del cattivo di questa storia. No, non é Gervaso, non é poi un cattivo ragazzo dopotutto, in situazioni simili qualcun'altro avrebbe potuto attuare drastiche misure di Leandroctomia per cavarsi dagli impacci. E' mediamente affezionato al vecchietto. No, il malvagio di una storia deve avere delle particolari prerogative.

UNO: deve avere carattere e/o aspetto fisico opposte alle relative qualità del buono.
DUE: deve essere una persona in qualche modo conosciuta dal protagonista, con cui ha un conto in sospeso.
TRE: deve avere un nome impronunciabile o comunque di grande effetto scenico. Un cattivo che si chiama Teodoro Cneffi non ha futuro, é già diverso se guadagna la notifica di dottore (Dottor Teodoro Cneffi), meglio se in tedesco (Doctor Teodor von Kneffburg) e così via fino a nomi di tre righe.
QUATTRO (sviluppo recente della figura del malvagio, MPF, ovvero Malvagio Post Freudiano) : per la sua cattiveria deve essere in parte imputabile la società, la situazione contingente, la pazzia, l'amore, i genitori (o avi in genere) o addirittura il buono stesso.
CINQUE: il cattivo deve avere un punto debole che si scopre verso la fine, o che si conosce ma difficilmente sfruttabile.

Andiamo a conoscere, allora, l'incarnazione del Male, la Nemesi, il Nemico.

«Giusé! Giuuu! Giusé, sei sordo? Vieni qua un attimo!»
«Si, ma! N'attimo che stò a fà er record... e non me chiamà Giusé, io sò'n DJ e me devi chiamà Doctor Groove. Cazz...niente, sto mostro mica lo ammazzo. Eccome mà, tanto sò morto...»
Da una porta tempestata di poster di gangsta-rappers vari spunta fuori un ragazzino di dodici anni, calzoni larghi, canotta con maglietta a rete, catena al collo ed enormi occhiali a fondo di bottiglia (che non mette mai fuori casa, a sprezzo della vita, perché certamente poco cool).
«Si, mà, che voi?»
«Senti, "Doctor Groove", ho finito il sale, che puoi andare a chiederlo al vicino che ho tutte le mani infarinate?»
«A chi, alla Fanticci?» (splendida ragazza, ora é in vacanza ma se torna prima della fine ve la descrivo)
«No, speravi eh! Non c'é. A quello del piano di sotto.»
«No, ar vecchio storto no! Non lo capisco quanno parla!»
«Non ci devi parlare, basta che ti dia un pò di sale. E lui ti capisce.»
«Dai, 'o sai che c'ho litigato che non me ridava er pallone quanno m'é cascato de sotto e pe dispetto me l'ha pure mezzo squajato.» (in realtà Leandro aveva cercato di spiegare al Doctor Groove che non riusciva a prenderlo da sopra la caldaia dove era finito perché il metallo scottava)
«Se ci vai ti faccio le patate fritte a lettere che ti piacciono tanto. Mi manca solo il sale, guarda.» (colpo basso, Doctor Groove ne va matto e mamma Groove lo sa)
Il Dodicenne-Jockey non si fida, spalanca il surgelatore e apre l'ultimo cassetto in basso. Non ne vediamo il contenuto ma come in tutti i film di gangster ne esce una luce divina e D. Groove annuisce soddisfatto. Richiude.
«Va bene, mà, ci vado, ma poi me le fai, eh?»
«Si, promesso, ma adesso spicciati, dai.»
Doctor Groove fa i primi passi di corsa, poi si ricorda che é un DJ e si da un tono.

Analizziamo la situazione.
Leandro, il nostro eroe, sta per incontrare la sua nemesi. E' un cattivo di tutto rispetto? Vediamo.
UNO: Leandro é un vecchiarello bene in carne, lento quando cammina e ci vede benissimo. Doctor Groove é un dodicenne sparuto, scattante e affetto da miopia playstation-causata.
DUE: si conoscono, abitano nello stesso condominio. Doctor Groove ritiene Leandro responsabile dello scamorzamento di un pallone.
TRE: Doctor Groove suona bene. Immaginatevi una frase del tipo: il Doctor Groove sta ancora tramando per conquistare il mondo, ma...
QUATTRO: il Doctor Groove, come tutti i teenagerz, é pilotato da massicce invasioni mediatiche. Hip-Hop, Playstation, film sparatutto e una mamma armata di amore filiale lo rendono una vittima potenziale della società tutta.
CINQUE: Doctor Groove va matto per le patatine a lettera. Sono rarissime da trovare ormai.

Un cattivo con tutte le carte in regola. Intanto la Nemesi suona al campanello dell'eroe.

Leandro sente suonare alla porta. No, non può essere Gervaso. Si alza e trotterella fino all'entrata. Appoggia un'occhio allo spioncino. Nella prospettiva distorta vede qualcosa che sembra un'incrocio tra un airone cinerino e un'aye-aye. Il figlio di quella al piano di sopra. Non che assomigli davvero a un aye-aye, ma va per esclusione. Apre.

«Buonaseramiamammamihamandatoachiederlesepercasopotevaprestarciunpòdisalechenoiloabbiamofinito?»
Leandro annuisce. Torna dentro ma il sale sciolto lo ha finito anche lui. Parte alla ricerca della scatola di riserva. Noi sentiamo una musica stridente e spaventosa che proviene dall'ingresso, una colonna sonora da momento tragico e/o terribile. Torniamo all'entrata appena in tempo per vedere il Doctor Groove uscire trafelato mentre si infila in tasca qualcosa. Si dispone nella posizione in cui Leandro l'ha lasciato. Ma un piede sbatte d'impazienza. Leandro trova la scatola, la apre, ne rovescia parte del contenuto in una tazza, trotterella ignaro dal Doctor Groove e gli consegna il sale. Il Doctor Groove ringrazia e divora le scale a due a due. Una porta si apre, si sente odore di patatine fritte, si chiude. Silenzio, fine colonna sonora.

Due giorni di ellissi dovuta all'assoluta mancanza di eventi significativi ai fini della storia.

Gervaso, intelaiato in una moltitudine di sacchetti della spesa, sta salendo le scale ed é quasi alla porta quando sente dall'interno involarsi un'urlo intervocalico di straordinaria complessità. Istante di silenzio. Dal buco della serratura sciabola un fascio di luce bianchissima che si spegne subito. Sopra lo stipite appaiono delle crepe. Un tonfo. Serie di tintinnii metallici e crepitii ceramici. Un "Help!" biascicato. Silenzio prolungato. Il primo pensiero é un'incendio. Gervaso molla tutti i sacchetti che rotolano via. Una bottiglia di salsa di pomodoro vola nella tromba delle scale e si schianta due piani sotto con grande effetto plastico. Gervy sfodera le chiavi, apre tremante la porta e.
E vede Leandro seduto per terra che si massaggia la testa tonda, un tavolino rovesciato e una ninnolomachia furiosa con diversi feriti sul pavimento. No, decisamente nessun incendio. Tranne... la parete bianca é scurita in una zona e spicca netta l'ombra al negativo di un Leandro con le braccia mezze alzate. Radiazioni? Gervaso si guarda istintivamente le palle. Leandro si gira e squadra il nipote, poi lo riconosce.
«Il mon clock...»
Il mio orologio. Una manoccia indica il tavolino e poi i superstiti sul terreno. Manca l'orologio a cipolla con la foto di nonna Pollini dentro...

Flashback. Vediamo Doctor Groove aspettare il suo sale. Vede sul tavolo un'orologio a cipolla. In alcuni dei suoi poster i rappers lo portano. Ergo, per essere un vero DJ deve averlo anche lui. Ergo, visto che il vecchio gli deve un pallone, può prenderlo come risarcimento. Ergo si infila dentro, gratta il cipollotto, se lo schiaffa in tasca ed esce di nuovo. Ergo ora é un DJ. Ergo attende il sale, lo ottiene, si fa le scale, dà la spezia alla madre e va a rimirare la sua preda in camera. La coscienza borbotta ma D. Groove le promette delle patatine. La coscienza si azzittisce. D.Groove apre il cipollotto. Foto scolorita di una signora. Poco cool ma si può togliere. Per ora nel cassetto. Dove rimarrà per un paio di mesi, dimenticato tra i dimenticati giovanili. Ma questo lo vedremo dopo.

Flash-forward. Siamo quasi ai tempi attuali. Mentre Gervaso sta pagando alla cassa Leandro é in casa a spolverare. Si avvicina all'ingresso. Comincia a rassettare l'armadio a muro. Gervaso sta caricando i sacchetti. Esce tenendoli in bilico. Non é soddisfatto della disposizione, ne posa qualcuno in terra e li ridispone. Alla fine della via già vede il portone di casa. Si affretta che c'é una bottiglia che gli preme sull'inguine e ha paura di ritrovarsi soprano. Leandro spolvera i quadri in corridoio. Uno lo sposta un pò per rimetterlo dritto. Gervaso é nell'atrio del condominio. Leandro si gira verso il tavolino. Gervaso sale la prima rampa giocando di bacino per evitare che la bottiglia pornostatica cada. Leandro da una prima passata di piumino ai ninnoli. Gervaso é all'ultima rampa. Leandro si accorge del furto dell'orologio a cui é molto affezionato. Urla una frase di dolore che gli esce in diverse lingue morte, tra cui il sanscrito e il greco antico. Per una straordinaria coincidenza pronuncia una serie di fonemi scritti su alcune torah cabalistiche ormai perdute. La parete davanti a lui esplode in una vampa di luce bianca in cui si intravede una figura minuta ma con enormi ali diafane. Il viso é un fuoco abbagliante. Una corrente d'aria bollente sembra fluire dall'entità. Leandro si arresta chino, boccheggiando, alza le braccia per metà. L'essere china la testa di lato, tra l'incuriosito e qualcuno che sente un lieve rumore, diviene luce e si tuffa nella testa del nonnino. Il vecchio cade in terra aggrappandosi al tavolino e trascinandolo con se. I ninnoli cadono, alcuni si frantumano. Leandro biascica un'help! stentato e guarda l'aria ormai vuota davanti a se. La testa gli gira come dopo una sbornia. Rumori alla porta, Gervaso irrompe. Leandro fissa la figura, sulle prime non la riconosce, poi...
«Il mon clock...»
e indica tavolo et ninnoli, é la prima cosa che gli passa in mente di dire.
Riallineati con il presente narrativo.

continua...
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mercoledì, ottobre 29, 2003

DUNE

Le mie labbra, le sento.
Sono dune del deserto
Secche, aride come pietre
Il vento le spazza, ne muta la forma
Le mie dune del deserto
Le parole scivolano nella sabbia rovente, incespicano nelle crepe.
Il vento le spazza, ne scioglie i contorni.
Dune, nient'altro.
Non offrono rifugio, ostili alla vita.
Non piove da tanto ormai, eppure...
Eppure i fiori, nel torrido laggiù, aspettano.
Nelle dune che erano il giardino dei melograni.
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giovedì, ottobre 16, 2003


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sabato, settembre 20, 2003

quando ti senti a pezzi.
quandi i pezzi sono piccoli, troppo piccoli
ignorano l'aria
respirano a malapena
i sentimenti morti
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